Tregua e non pace

 

 

La recente tregua tra israeliani e palestinesi è un passo importante, forse vitale, ma non è la pace. La parola “pace” implica una stabilità duratura, un rispetto reciproco e la costruzione di un futuro comune, mentre la tregua è spesso solo una pausa nel conflitto, un fragile equilibrio che rischia di crollare al primo dissenso.

Entrambi i popoli hanno sofferto. Israele e Palestina portano sulle spalle un fardello di dolore, perdite e sfiducia, alimentato da decenni di conflitti, incomprensioni e tragedie. Ma è proprio su questa base di sofferenza condivisa che occorre costruire un nuovo cammino. Andare avanti è l’unica via possibile.

Due popoli, due Stati: una strada percorribile?

L’idea di due popoli, due Stati, potrebbe rappresentare una soluzione concreta. Non è un concetto nuovo, ma rimane uno dei pochi percorsi che, se affrontato con volontà politica e compromessi reciproci, potrebbe garantire a entrambi sicurezza, autonomia e dignità.
Tuttavia, il territorio, simbolo tanto di radici culturali quanto di rivendicazioni storiche, rappresenta l’ostacolo più grande. Chi può edificare il proprio futuro su un terreno che l’altro considera proprio? Questa domanda va affrontata con coraggio, superando l’ossessione del possesso e cercando una coesistenza rispettosa.

Un accordo deve riconoscere i diritti di entrambe le parti: il diritto di Israele a vivere in sicurezza e quello del popolo palestinese a uno Stato sovrano, libero da occupazioni e privazioni. È un equilibrio delicato, ma non impossibile.

Il ruolo della memoria e del perdono

La pace richiede anche un lavoro interiore. L’attuale generazione, cresciuta nell’ombra degli orrori della guerra, sarà capace di perdonare? Perdonare non significa dimenticare, ma accettare il passato per evitare che continui a ripetersi.
Questo vale per entrambi i popoli. Israele ha visto il suo popolo perseguitato e sterminato, il che rende comprensibile la sua insistenza sulla sicurezza. Allo stesso tempo, il popolo palestinese vive da decenni una realtà fatta di occupazioni, esili forzati e privazioni, che alimentano la disperazione e il desiderio di riscatto.

Ricordare è importante, ma la memoria non deve diventare una prigione. Solo chi riesce a guardare oltre il proprio dolore potrà costruire un futuro per sé e per gli altri.

Andare avanti: una responsabilità comune

Non ci può essere pace senza dialogo, senza la volontà di ascoltarsi e di riconoscere il valore dell’altro. E non ci può essere pace se la comunità internazionale resta a guardare. I leader mondiali hanno il dovere di accompagnare questo percorso, garantendo che gli accordi siano rispettati e che nessuna parte venga lasciata indietro.

Israele e Palestina possono convivere, ma devono scegliere di farlo. Devono rinunciare all’idea che uno prevalga sull’altro e abbracciare una visione in cui la vittoria non sia la sconfitta del nemico, ma il raggiungimento di una vita dignitosa per tutti.

La tregua è un inizio. Importante, anzi importantissimo. Ma è la pace che deve guidare ogni passo futuro. Perché solo la pace potrà offrire a entrambi i popoli la possibilità di edificare il proprio futuro su un terreno condiviso.